“Sei proprio handicappato!”, “Sembri disabile quando ti comporti così!”. Affermazioni di questo tipo e anche peggiori si sentono spesso. Molti reputano che usare sinonimi come “diversamente abile” o “non udente” e altri sia un buon metodo per essere corretti e gentili. Ma non è così: perché?

Questo tema è stato molto discusso nel corso degli anni e si è anche deciso di utilizzare determinati termini in politica definendo così un’ideologia chiamata “politically correct” (in italiano “politicamente corretto”). L’intenzione era quella di non discriminare utilizzando parole che evitano ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone.

Nonostante l’intento fosse eccezionale gli sviluppi non sono stati dei migliori. Infatti il politicamente corretto viene accusato di limitarsi a intervenire sulla forma (ossia la lingua) piuttosto che sulla sostanza dei problemi. 

Il “politically correct” preferisce “portatore di handicap” piuttosto che “persona con disabilità”, ma le persone chiamate in causa spesso si sentono ugualmente offese e discriminate.

Quando parliamo dovremmo pesare bene le nostre parole. Invece di dire: “una persona costretta sulla carrozzina” potremmo semplicemente dire “su sedia a rotelle”. In questo modo non mettiamo la sua situazione in una luce negativa dando più valore alla carrozzina che alla persona. La sua non è una costrizione ma una condizione in cui si trova a vivere e noi possiamo rendere più bella e semplice la sua vita anche con le nostre parole.

Le persone possono essere “sorde” o “cieche” non sono “non udenti” o “non vedenti”. Utilizzando la negazione si tende a mostrarsi pietosi o compassionevoli: esattamente quello di cui nessuno ha bisogno quando si trova in una situazione che può essere complicata!

Pensiamo alla parola “handicappato” diffusasi negli anni ‘70 in Italia. Il tentativo era quello di utilizzare un termine per definire determinate persone: ma come spesso accade non si fa un buon uso delle parole e così, per sopperire a questa nota dispregiativa,  negli anni ‘80 venne introdotto il termine “disabile”. Il problema era che vi è il prefisso -dis che da in sé un’accezione negativa alla parola. Negli anni ‘90 iniziarono a dire “diversamente abile” ma oggi ben capiamo che cercare di usare sinonimi o diminutivi non aiuta le persone, ma le mette in una posizione di sfavore. 

Dobbiamo capire che non è la disabilità a creare l’insofferenza ma l’impossibilità di fare certe cose in un contesto sfavorevole. L’obiettivo che tutti dovremmo avere è quello di partire dallo stesso livello a prescindere dalle nostre condizioni.

Da tempo si fanno le gare con i cavalli e indovinate un po’? I cavalli più forti venivano fatti partire dopo perché avevano più probabilità di vincere rispetto agli altri. Veniva dato loro un handicap ma la cosa non era vista in modo negativo perché se la gara doveva essere equa tutti i cavalli sarebbero dovuti partire allo stesso livello altrimenti non avrebbe avuto senso gareggiare.

Ecco, oggi dovremmo applicare nel quotidiano questo stesso ragionamento: una persona non riesce a camminare e le viene data una sedia a rotelle, un’altra non sente e dunque usa un apparecchio acustico, un bimbo autistico avrà bisogno dell’aiuto e del tempo necessario per sentirsi a suo agio e capire se stesso. Queste persone sono persone esattamente come noi: perché discriminarle? Perché vederle come diverse e definirle tali?

Fin quando useremo queste parole come insulto, se continueremo a  dare loro un’accezione negativa alimenteremo la discriminazione di persone già ai margini. Ci vuole uno sforzo collettivo ma soprattutto personale. 

Se dentro di noi continuiamo a pensare che siano persone diverse, che meritino di essere viste così potremo trattenere il flusso delle parole una o magari due volte, ma prima o poi uscirà dalla nostra bocca quello che abbiamo nel cuore. 

Si tratta di cambiare il proprio modo di pensare, di capire che è inutile essere pietosi con loro perché se ne rendono conto: non sono stupidi. Hanno bisogno di essere trattate in modo semplice, spontaneo e naturale. Aiutiamoli a non farli sentire diversi perché se loro si sentono così è solo colpa nostra. 

D’altro canto basta guardarci un attimo e pensare alle persone che conosciamo, ai loro caratteri e modi di fare: siamo tutti diversi no?

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